Uri Orlev: La corona del drago

Io mio computer è pieno di file incompiuti, frammenti scartati, appunti per cose che forse farò… Ho scritto il testo che vi propongo oggi nientemeno che nel 2012, visto che secondo il mio computer è dal 21 maggio di quell’anno che non tocco il file relativo a La corona del drago di Uri Orlev. Con un bel balzo indietro nel tempo, ecco ciò che scrivevo (e non pubblicavo, questo è un progetto abortito) 12 anni fa:

A partire dalle fiabe in cui un orco o una strega cattiva vanno sconfitti da un eroe improvvisato fino ai più moderni romanzi, la battaglia fra bene e male è uno dei temi classici della fantasy. Talmente classico da essere spesso divenuto un cliché, con eroi puri vestiti di bianco perennemente impegnati contro un male assoluto ammantato di nero. Ma cosa potrebbe accadere se bene e male fossero così esasperati da non lasciare spazio per il loro opposto?

Se lo è chiesto Uri Orlev nella Corona del drago, storia nella quale immagina due regni vicini ma impossibilitati a entrare in contatto fra loro perché separati da una Valle impenetrabile, dominati uno dal bene assoluto e l’altro da un male altrettanto assoluto.

È un’ipotesi sulla quale aveva già fantasticato nel 1952 Italo Calvino con Il visconte dimezzato, mantenendo però la separazione fra i due opposti all’interno di una sola persona. Il suo Medardo di Terralba, colpito da una cannonata dei Turchi e diviso perfettamente a metà da un punto di vista fisico ma le cui parti presentavano caratteri diametralmente opposti, dimostrava come anche la bontà assoluta potesse essere dannosa. Solo il ricongiungimento finale del Medardo cattivo con il Medardo buono consentiva di arrivare a un lieto fine nel quale, come nel concetto orientale di Yin e Yang, i due opposti sono interdipendenti perché non possono esistere l’uno senza l’altro e ciascuno contiene in sé un seme del proprio opposto. Perché Medardo potesse avere una vita normale aveva dovuto quindi riunire i due opposti, e affiancare nuovamente al suo interno bene e male.

La storia di Orlev inizia nel Paese Orientale, quello dove sorge il sole e dove tutti si devono amare, aiutare e comportare con compassione e rispetto. Ma quando qualcuno cerca di raggiungere la perfezione, in qualsiasi senso, c’è sempre qualcuno pronto a ostacolarlo, e se nel Paese Orientale gli abitanti cercano il bene assoluto, secoli prima un principe del Paese Occidentale è riuscito a compiere un attraversamento ritenuto impossibile e gli è stato concesso d’insediarsi nel Palazzo Proibito, nei pressi della capitale del Regno Orientale.

Tocca a due giovani, Akratan, erede del Principe Nero, e Maililla, principessa del Paese Orientale, scoprire i limiti dei rispettivi modi di vivere. Akratan, di cui all’inizio non viene svelato il nome ma solo il ruolo dirompente nei confronti dei pacifici vicini e delle loro usanze, ferisce con i gesti ma anche con i discorsi, facendo scoprire l’esistenza di “parole bandite, che fino ad allora erano state note solo al re e ai custodi della tradizione” (1) perché, con lo scopo di raggiungere il bene assoluto, anche la lingua è stata depurata. Ma una depurazione così forte è un impoverimento, sia nelle abilità pratiche che nella capacità stessa di percepire il mondo, come scopriranno a proprie spese un maestro e un ministro che si troveranno per un certo periodo a viaggiare con il Principe. Perché se certi pensieri non possono neppure essere formulati a meno di fare “ricorso alle parole proibite, indispensabili per definire le cose; cose che avrebbero dovuto essere proibite, ma che in realtà continuavano a esistere” (2) ai due mancano degli strumenti fondamentali per conoscere la realtà in cui improvvisamente si trovano a vivere. Il maestro e il ministro devono così lottare contro una vita di rigide costrizioni per poter fronteggiare quelle difficoltà che una situazione del tutto eccezionale pone sul loro cammino, scoprendo che chi pretende di eliminare il male per forza sta lui stesso compiendo qualcosa di sbagliato.

In tutt’altra situazione Maililla si trova ad affrontare il male, oscura predisposizione d’animo non priva di fascino ma anche di insospettabili punti deboli, perché un estremo non può esistere senza il suo opposto e una divisione artificiale può portare soltanto a una calma apparente prima della tempesta.

Il libro non racconta tutta la vita dei suoi personaggi. Li segue per un po’, li pone di fronte a determinati problemi di cui non sospettavano nemmeno l’esistenza e gli fa capire che una soluzione è possibile. Le ultime righe lasciano intuire il corso di alcuni eventi futuri, ma le modalità con cui si svolgeranno sono lasciate alla fantasia del lettore, perché una volta iniziato il cammino di scoperta di sé e della realtà ciascuno è libero di percorrerlo a modo proprio.

Bene e male, conoscenza, falsa conoscenza e ignoranza sono i grandi temi che si susseguono nelle pagine di questo romanzo. Senza soluzioni precostituite, ma con l’invito a un cammino di riflessione e di scoperta non facile ma capace, se correttamente compiuto, di schiudere nel lettore nuovi orizzonti.

 

 

1) Uri Orlev, כתר הדרקון, 1986, trad.it. La corona del drago, Salani, Milano, 2007, pag. 30.

2) U. Orlev, op.cit., pag. 112.

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4 risposte a Uri Orlev: La corona del drago

  1. Raffaello ha detto:

    Ciao Martina. Che mi dici invece di La luna che uccide della Jemisin? Ci sto facendo un pensierino, visto che Fanucci sta facendo uscire il secondo e conclusivo volume. Ho visto che tu in passato hai letto il primo, valutandolo solo 3 stelline goodreads. Cosa non ti è piaciuto? È uno YA o è fantasy adulto come il ciclo della Terra Spezzata?

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