Robert Jordan: la biografia

Tom Doherty, presidente di Tor Books, ricordando il suo amico Robert Jordan durante la cerimonia funebre lo aveva definito “sognatore, creatore di sogni, uno dei grandi narratori di storie del XX secolo e credo che il tempo dirà anche del XXI.” Parole di un amico addolorato per la scomparsa di una persona cara? Certo, ma sono parole che contengono anche un nucleo di verità.

La Ruota del tempo, proseguiva Doherty, “è un’epica imponente per intensità e possibilità”. E, possiamo aggiungere, per dimensioni. Undici volumi pubblicati, più quello che sarebbe dovuto essere il dodicesimo e ultimo ancora in corso di scrittura al momento della morte dell’autore. Migliaia di pagine, a cui si aggiungono anche quelle dell’unico prequel — dei tre progettati — realizzato da Jordan.

Ma chi era l’autore di questo monumentale ciclo, e perché i suoi libri affascinavano così tanto i lettori da farli regolarmente balzare ai vertici delle classifiche di vendita in buona parte del mondo? A queste domande ho cercato di rispondere con alcuni approfondimenti già pubblicati su FantasyMagazine e volti ad indagare gli aspetti più rappresentativi di uno dei “fictional world” più complessi mai creati dalla mente umana. Prima di addentrarci nella Ruota del tempo, però, proviamo a conoscerne meglio il Creatore.

La nascita di uno scrittore

James Oliver Rigney Jr. — Jim per gli amici — era nato a Charleston, nel South Carolina nel 1948. La passione per i libri si era manifestata fin da subito e, con l’aiuto di un fratello maggiore, aveva imparato a leggere all’età di quattro anni. L’anno successivo scopriva i libri di Jules Verne e Mark Twain, che leggeva in poco tempo. Per due volte, nel 1968 e nel 1970, ha combattuto in Vietnam, dove si è guadagnato diversi riconoscimenti al valore.

Tornato in patria si è laureato in fisica a The Citadel, il Military College of South Carolina, e ha prestato servizio presso la U.S. Navy come ingegnere nucleare. Anni dopo, a chi chiedeva com’era possibile il passaggio da quel mondo così rigoroso a quello apparentemente diversissimo della fantasy, James rispondeva citando uno dei più famosi paradossi della fisica, il gatto di Schroedinger.

Posti un gatto e del materiale radioattivo in una stanza chiusa, non si può sapere se il gatto è vivo o morto perché non si sa se questa sostanza è decaduta e lo ha ucciso.

Finché non si apre la stanza per controllare, perciò, secondo la meccanica quantistica il gatto è contemporaneamente sia vivo che morto. Chi riusciva a capire questo concetto, asseriva, aveva la mente abbastanza elastica per prendersi una laurea in fisica. E anche per scrivere narrativa fantasy.

La svolta nella sua carriera è arrivata nel 1978. Bloccato a letto nel periodo di convalescenza a seguito di un incidente, James si è tuffato nella lettura. Un giorno, ha raccontato, disgustato da ciò che stava leggendo ha scaraventato il libro contro una parete asserendo di poter fare di meglio. Prese carta e penna, ha iniziato a scrivere e non ha più smesso.

L’esordio nella narrativa è del 1980, con un romanzo storico dal titolo The Fallen Blood. In realtà questa era la sua seconda opera, perché per la prima non era riuscito a trovare un editore. Con The Fallen Blood, invece, per il giovane scrittore le cose hanno iniziato ad andare nel verso giusto. Fra l’altro, è stato grazie a quel libro, pubblicato con lo pseudonimo di Reagan O’Neal, che James ha conosciuto Harriet McDougal, all’epoca proprietaria di una piccola casa editrice e in seguito editor di Tor Books, editore, fra l’altro, anche deLa Ruota del tempo.

Qualche tempo dopo Harriet sarebbe diventata sua moglie, e per tutta la vita sarebbe stata fonte d’ispirazione, oltre che preziosa collaboratrice.

Gli interessi di James erano molto eclettici, e fin da subito si era reso conto che anche la sua scrittura avrebbe mantenuto questa caratteristica. Da qui la scelta di usare pseudonimi diversi, a seconda del genere letterario affrontato. Con il suo vero nome progettava di firmare la narrativa contemporanea, con storie ambientate in quel Vietnam che lo aveva profondamente segnato. Alla domanda se l’esperienza in Vietnam avesse influenzato il suo modo di scrivere, in un’occasione Harriet ha risposto con un semplice “è il motivo per cui scrive”. E le vicissitudini che i suoi personaggi si trovano ad affrontare riflettono l’inferno che lui ha conosciuto di persona. Nell’opera che gli ha dato celebrità in tutto il mondo, i suoi personaggi vivono un’enorme trasformazione interiore.

Se all’inizio Rand e compagni sono assolutamente ingenui e innocenti, con il proseguire della storia queste caratteristiche spariranno completamente, spazzate via dal peso delle responsabilità e dall’incalzare degli eventi, e loro diventeranno persone totalmente differenti. E, anche se sopravvivranno, non potranno più tornare nell’ambiente nel quale sono cresciuti e alla loro vita di un tempo, perché non saranno più le stesse persone. The Fallen Blood era il primo romanzo di una trilogia ambientata nella Carolina del Sud durante la Rivoluzione Americana.

I volumi successivi, The Fallon Pride e The Fallon Legacy, sono rispettivamente del 1981 e del 1982. L’enorme successo del ciclo de La Ruota del tempo ha spinto la casa editrice Forge a ripubblicare, nella seconda metà degli anni ’90, l’intera trilogia. Sulle nuove copertine campeggiavano due nomi: quello di Reagan O’Neil, che aveva firmato la prima edizione dei volumi e quello, ben più famoso, di Robert Jordan.

Operazione, questa, ripetuta anche nel 2000 per Cheyenne Raiders, edito originariamente nel 1982 con il nome di Jackson O’Reilly. Anche se fa un po’ sorridere la firma che campeggia sulla copertina delle quattro opere: “di Robert Jordan, scritto con il nome di Reagan O’Neil (o, per quest’ultima, di Jackson O’Reilly”. Peccato solo che tutti e tre siano pseudonimi. Il romanzo, di ambientazione western, era il sesto della serie American Indians, inaugurata l’anno precedente da Comanche Revenge di Jeanne Sommers e proseguita per qualche tempo da diversi autori. Del 1982 è anche la prima opera firmata da Robert Jordan. Si tratta di Conan the Defender, il primo di una serie di sette romanzi che lo scrittore di Charleston dedicherà al personaggio creato dalla penna di Robert E. Howard.

Sulle tracce di Conan

Howard aveva iniziato a raccontare le avventure di Conan il Cimmero nel lontano 1932, con il racconto La fenice sulla lama. Da quel momento e fino al 1936, anno della sua morte, egli aveva realizzato 22 opere aventi per protagonista il barbaro dall’enorme coraggio e dalla straordinaria possanza fisica. Dopo la scomparsa dello scrittore il suo esecutore testamentario, Glenn Lord, aveva trovato montagne di carte con opere incomplete, soggetti, o addirittura scalette appena abbozzate. Buona parte di questo materiale era successivamente stato affidato ad altri autori che avevano completato, a volte rielaborandole completamente, le storie. Ecco comparire così romanzi firmati, fra gli altri, anche da Lyon Sprague de Camp, Lin Carter e Poul Anderson.

Fra opere che riprendono le tracce lasciate da Howard e altre dalla concezione totalmente originale s’inserisce anche Rigney, che per l’occasione sceglie lo pseudonimo con il quale diventerà famoso. Interrogato in proposito, James ha negato che il nome fosse un voluto riferimento al protagonista di Per chi suona la campana di Ernest Hemingway. Semplicemente, aveva scelto di adoperare nomi che contenessero le sue reali iniziali, e questo era uno fra i tanti possibili. I primi due nomi utilizzati, addirittura, comprendevano anche la “o” del suo secondo nome, Oliver.

Dopo Conan the Defender ecco arrivare, nell’arco di un paio d’anni, Conan the InvincibleConan the TriumphantConan the UnconqueredConan the DestroyerConan the Magnificent, e Conan the Victorious.Conan the Invincible è l’unico dei sette romanzi a essere stato tradotto nel nostro paese. Nel 1997 Fanucci pubblicava Conan l’invincibile, avvicinandosi così per la prima volta a colui che diventerà uno dei suoi autori più importanti.

Quanto a Conan the Destroyer, si tratta della novellizzazione della sceneggiatura dell’omonimo film del 1984 diretto da Richard Fleischer e interpretato da Arnold Schwarzenegger. La pellicola, seguito di Conan il barbaro, avrebbe dovuto originariamente intitolarsi Conan: King of Thieves, e in un primo momento la casa editrice aveva presentato il romanzo con questo stesso titolo. Salvo poi cambiarlo per adattarsi alle scelte cinematografiche, ingenerando così una piccola confusione sul numero di romanzi realizzati da Jordan. In taluni casi, infatti, nella bibliografia dell’autore compaiono entrambi i titoli, come se si trattasse di due opere diverse.

La Ruota del tempo

Nel 1985 Robert Jordan — così sarebbe stato conosciuto da milioni di fan sparsi in tutto il mondo — iniziava a lavorare su un’idea che era presente nella sua mente già da qualche tempo. “Cosa sarebbe accaduto” ha chiesto più volte all’interlocutore di turno “se qualcuno avesse bussato sulla tua spalla e ti avesse detto che tu saresti diventato il salvatore del mondo?”. La sua personale risposta a questa domanda iniziava ad arrivare nelle librerie all’inizio del 1990, quando Tor pubblicava The Eye of the World, primo volume della monumentale saga The Wheel of Time.

Nel corso degli anni Jordan ha pubblicato ben undici romanzi, e al momento della morte era impegnato nella realizzazione del dodicesimo e ultimo volume. Questo l’elenco completo:   The Eye of the World (1990), The Great Hunt (1990), The Dragon Reborn (1991), The Shadow Rising (1992), The Fires of Heaven (1993), Lord of Chaos (1994),  A Crown of Swords (1996), The Path of Daggers (1998), Winter’s Heart (2000), Crossroads of Twilight (2003), Knife of Dreams (2005),  A Memory of Light (incompiuto). Secondo i dati forniti dalla casa editrice all’epoca della morte di Jordan, cinque anni fa, la serie è stata tradotta in due dozzine di lingue, e i libri hanno venduto oltre 30 milioni di copie. Dall’ottavo volume in poi, ciascuno di questi romanzi ha raggiunto il primo posto nella classifica dei bestseller del New York Times.

In un’intervista rilasciata a Locus nel 2006, alla richiesta di descrivere l’essenza della sua opera in sei parole, Jordan ha risposto: “Scontro di culture, mondi che cambiano, affrontare i problemi” (letteralmente “Cultures clash, worlds change — cope”), aggiungendo che sa che sono solo cinque, ma detesta essere prolisso. Per quanto riguarda la conclusione, ha sempre affermato di averla saputa fin dal primo istante in cui ha cominciato a scrivere. L’inizio e la fine erano ben chiari nella sua mente, al punto che avrebbe potuto averla scritta già molti anni fa. Le parole, il modo di scrivere, sarebbero stati diversi, ma gli eventi sono rimasti sempre gli stessi.

In seguito all’enorme successo della saga, dai primi due romanzi sono state realizzate delle versioni per un pubblico di adolescenti. Dal 2002 di The Eye of the World è disponibile anche un’edizione in due volumi, intitolati rispettivamente From the Two Rivers e To the Blight. Questi libri, oltre a essere scritti con caratteri più grandi, contengono diverse illustrazioni. Inoltre Jordan ha realizzato un ulteriore prologo intitolato Ravens e dedicato a Egwene. Un’analoga operazione è stata ripetuta nel 2004 per The Great Hunt, ripubblicato nei volumi The Hunt Begins e New Threads in the Pattern.

Pur se non ancora terminata, la serie comprende anche un prequel. Si tratta di New Spring, uscito originariamente sotto forma di racconto lungo nel 1998 nell’antologia Legends curata da Robert Silverberg. Una versione più estesa è stata pubblicata, sempre con lo stesso titolo, nel 2004. L’anno successivo Red Eagle Entertainment ha pubblicato la storia sotto forma di fumetto. I sei albi che la compongono sono stati sceneggiati dallo stesso Jordan, che ha rivisto e approvato ogni tavola, e da Chuck Dickson, mentre le illustrazioni sono state realizzate da Mike S. Miller e da Harvey Tolibao.

Oltre a New Spring, ambientato una ventina d’anni prima del filone principale della saga e incentrato sulla fine della Guerra Aiel e sull’incontro fra Moiraine e Lan, Jordan avrebbe voluto scrivere altri due prequel. Uno avrebbe dovuto riguardare Tam al’Thor e la sua decisione di lasciare l’esercito, l’altro raccontare dei viaggi di Moiraine e Lan alla ricerca del Drago. Ciò che l’autore non aveva previsto, però, era la reazione dei suoi fan. Desiderosi di conoscere la conclusione della vicenda lo hanno criticato, a volte anche duramente, per aver “perso tempo” a narrare storie non necessarie continuando a ritardare il momento in cui avrebbe dovuto scrivere la parola fine all’intera saga.

Fra i vari commenti ricevuti, Robert ha citato quello di diverse persone che hanno affermato che, avendo letto New Spring in forma di racconto, non avevano alcun bisogno di rileggerlo in forma di romanzo. Affermazione a suo dire errata, in quanto non intendeva ripetere altrove alcuni elementi, o alcune spiegazioni, che aveva già inserito in questo testo. A titolo di esempio ha evidenziato la presenza del test per diventare Aes Sedai e ha ricordato che qui mostra il nascere di alcune amicizie, o inimicizie, date già come assodate nella serie principale. Un’altra critica è che i sei volumi originariamente previsti hanno finito col diventare, col tempo, molti di più, facendo nascere il sospetto che Jordan stesse tirando in lungo le cose per motivi meramente economici. Da qui la sua reazione, con la decisione di scrivere gli altri due prequel solo dopo aver completato il dodicesimo e ultimo romanzo.

La saga è talmente lunga e complessa che il rischio di dimenticare qualcosa durante la lettura è molto alto. Usi e costumi dei diversi popoli, personaggi che compaiono in un romanzo per poi allontanarsi dal filone della saga e ricomparire centinaia, se non migliaia, di pagine dopo, profezie e oggetti di potere, richiami a un passato spesso noto solo in parte sono solamente alcuni dei molteplici elementi che la compongono.

Per aiutare il lettore a districarsi in tutto questo nel 1998 Jordan ha pubblicato, in collaborazione con Teresa Patterson, la guida The World of Robert Jordan’s the Wheel of Time. Il volume è aggiornato all’ottavo romanzo, The Path of Daggers.

Tutti gli avvenimenti narrati nei romanzi, con l’eccezione del prologo di The Eye of the World, sono ambientati durante la Terza Era. Le prime pagine del primo libro proiettano il lettore molto indietro nel tempo, in quella che in seguito sarà chiamata Epoca Leggendaria. Esiste un altro breve testo, disponibile solo su internet e su alcune versioni della già citata guida, ambientato qualche tempo prima rispetto a questo prologo, e relativo all’imprigionamento del Tenebroso ad opera di Lews Therin Telamon e dei Cento compagni. Si tratta di The Strike at Shayol Ghul, realizzato nel 1996.

Forze della Luce e Forze delle Tenebre. La più forte delle contrapposizioni, già usata in un’infinità di opere ma che, nelle mani di un grande scrittore trova una vita e un’energia sempre nuova. Jordan ha dichiarato che amava scrivere narrativa fantasy perché gli consentiva di parlare di giusto e ingiusto, bene e male, in modo onesto. Un altro elemento per lui importantissimo era seguire l’evoluzione dei personaggi, e i loro dubbi interiori, mentre il senso del dovere li spingeva a compiere azioni che non gli piacevano e li spingeva a diventare persone molto diverse da quello che avrebbero voluto essere. Una trasformazione interiore che i lettori possono seguire romanzo dopo romanzo in quella che secondo l’autore è un’unica lunghissima storia. I diversi volumi, per lui, non sono altro che sezioni di quel grande romanzo che è La Ruota del tempo.

L’edizione italiana

Nel 1992, a soli due anni dalla pubblicazione negli Stati Uniti, L’Occhio del Mondo arrivava anche in Italia. Il volume, che manteneva la stessa illustrazione di copertina dell’edizione originale, era pubblicato da Arnoldo Mondadori Editore, e la bella traduzione era stata realizzata da Gaetano Luigi Staffilano.

L’anno successivo era la volta di La grande caccia, ma qualcosa era cambiato. Mondadori aveva assorbito nella sua struttura la casa editrice Leonardo/Interno Giallo, recentemente fallita, e cercava di rilanciarne il marchio. Con questo scopo aveva deciso di pubblicare, con sotto la sigla Interno Giallo/Mondadori alcuni libri di grande richiamo per il pubblico. Fra questi c’erano secondi o terzi volumi di saghe già iniziate sotto il marchio Mondadori, o opere di autori molto noti. A titolo di esempio citiamo due volumi della serie di Landover di Terry Brooks, quattro del ciclo di Death Gate di Margaret Weis e Tracy Hickman, la conclusione del Ciclo delle spade di Tad Williams e due romanzi di Stephen Donaldson.

Jordan diventava quindi uno degli autori protagonisti di questo tentativo di rilancio, proseguito fino al 1995 con Il Drago rinato. Proprio in quell’anno, però, la casa editrice cessò completamente le pubblicazioni, e per molto tempo i lettori italiani della Ruota del tempo non seppero più nulla. Nel 1997 Sergio Fanucci iniziava timidamente ad avvicinarsi alle opere dello scrittore di Charleston pubblicando il già citato Conan l’invincibile.

Nelle pagine della sua newsletter, Futuro News, spiegava che l’impegno economico necessario a pubblicare una saga tanto monumentale costituiva un rischio enorme per una casa editrice di medie dimensioni. Anche se l’idea lo tentava, al punto da farlo ritornare sull’argomento in diversi editoriali. Un problema enorme era posto anche dai volumi già pubblicati in Italia. I lettori già in possesso delle edizioni Mondadori li avrebbero ignorati, e quindi il rischio era di stampare e far arrivare nelle librerie romanzi belli ma destinati a una fetta di pubblico ancor più ridotta di quella solitamente interessata alla narrativa di genere. D’altro lato, iniziare a pubblicare il ciclo dal quarto romanzo in poi significava rinunciare totalmente alla possibilità di conquistare nuovi lettori. Dopo vari tentennamenti, finalmente nel luglio del 2002 L’Occhio del Mondo, questa volta targato Fanucci, tornava nei nostri negozi.

Appena un mese prima Sperling & Kupfer aveva pubblicato la seconda parte dell’antologia curata da Silverberg, con il titolo Legends 2. Al suo interno compariva in versione racconto. Come dazio del passaggio da una lingua all’altra e presso due editori diversi, purtroppo, questo testo pagava lo scotto di avere una diversa traduttrice, Marina Deppisch. L’inevitabile conseguenza è stata di avere in alcuni casi lo stesso termine tradotto in due modi diversi.

Nel maggio del 2003, in occasione della pubblicazione de La grande caccia, Fanucci invitava per la prima volta Jordan in Italia. A questo viaggio ne sarebbe seguito un altro l’anno successivo, per presentare, dopo la riedizione sul finire dello stesso 2003 de Il Drago rinato, il primo volume inedito nel nostro paese de La Ruota del tempoL’ascesa dell’ombra. Dopo una tappa alla Fiera del libro di Torino lo scrittore, sempre cortese e disponibile, faceva un breve tour fra Milano, Pavia, Brescia e Roma.

A questi volumi sono seguiti I fuochi del cielo, sempre nel 2004, Nuova primavera nella sua versione a romanzo e Il signore del caos nel 2005, La corona di spade nel 2006, Il sentiero dei pugnali nel 2007, Il cuore dell’inverno nel 2008, Crocevia del crepuscolo nel 2009, La lama dei sogni nel 2010, Presagi di tempesta (completato da Brandon Sanderson) nel 2011 e Le torri di mezzanotte (completato da Sanderson) nel 2012.

Gli ultimi progetti e la malattia

Con la fine della saga finalmente in vista, un paio di anni fa Robert ha iniziato a confidare i suoi progetti futuri. Oltre ai due già citati prequel e a tre sequel, nella mente dell’autore aveva preso corpo l’idea per una nuova saga, annunciata con il titolo di Infinity of Heaven. Per quest’opera aveva previsto di realizzare sei volumi, strutturati sotto forma di due trilogie.

L’ambientazione avrebbe dovuto essere di tipo shogun, con un protagonista trentenne naufragato in un mondo e una cultura per lui sconosciuti. La doccia fredda per lo scrittore e per tutti i suoi fan era del marzo 2006.

In una lettera dal tono ottimistico e a tratti anche scherzoso pubblicata prima sulla rivista Locus e poi sul suo blog James Rigney annunciava di aver contratto l’amiloidosi. Si tratta di una malattia del sangue, spiegava, che colpisce 8 persone su un milione ogni anno, ed è distinta in 22 tipologie differenti. Questa caratteristica rende la cura molto più difficile perché non esiste una terapia unica, e ciò che funziona in un caso non è detto che funzioni anche in un altro. L’amiloidosi viene causata dal deposito di proteine anomale in diversi organi o tessuti, che vengono così danneggiati. Nel suo caso l’organo sotto attacco era il cuore.

Dopo una serie di spiegazioni relative alla sua aspettativa di vita, stimabile in 1-4 anni a seconda di determinate circostanze, affermava di avere tutte le intenzioni di vivere più a lungo. Ricordando i casi di persone vissute parecchi anni in più rispetto a quanto preventivato dai medici, ribadiva che il suo obiettivo minimo consisteva nel ritardare la fine di altri trent’anni. Aveva troppe storie da scrivere per potersi fermare prima.

La prima di queste storie era A Memory of Light, dodicesimo e ultimo volume della Ruota del tempo. Durante i lunghi mesi della sua malattia Jordan ha continuato ad aggiornare il proprio blog con commenti relativi alle cure che stava facendo, agli effetti della chemioterapia e a tutta una serie di valori che i medici tenevano sotto controllo. Ma continuava a rassicurare i lettori dicendo che con la volontà si può sconfiggere tutto, e che lui non intendeva darsi per vinto.

Per Robert l’affetto e la stima dei fan non erano qualcosa di secondario, che inevitabilmente arriva con il successo. I suoi lettori, anche se non poteva certo conoscerli tutti, erano persone reali, con la loro vita di cui occuparsi, e lui era commosso ed emozionato dal fatto di poterli in qualche modo toccare con la sua opera, e dalla loro scelta di dedicare parte del loro tempo libero a qualcosa creato da lui.

Chi ha avuto modo di incontrarlo nelle convention o nei tour di presentazione dei romanzi ricorda la grande disponibilità e cordialità dello scrittore, e il blog è un’ennesima dimostrazione del fatto che era grato dell’enorme affetto che riceveva, e che lo ricambiava interamente. Malgrado quello che stava passando, non si contano le frasi d’incoraggiamento che rivolgeva a chi confessava a sua volta qualche problema serio, fino al punto da dichiararsi stupito che riuscissero anche a trovare il tempo e le energie per preoccuparsi per lui.

Uno degli effetti della malattia era quello di debilitarlo. Se prima Jordan scriveva per 7-8 ore al giorno, tutti i giorni, in quest’ultimo periodo scriveva molto meno, e solo quando riusciva a farlo. Voleva terminare la saga, perché i suoi lettori potessero avere un’opera completa, e voleva farlo in un unico volume. Anche a costo di raggiungere le duemila pagine, e costringere l’editore a inventare un nuovo sistema di rilegatura per poterlo pubblicare. In diverse convention, nel corso degli anni, aveva dichiarato che se gli fosse successo qualcosa nessuno avrebbe potuto completare il ciclo, perché lui non aveva raccontato il finale a nessuno, e non esistevano appunti. Parole dette per scherzare, quando ancora non poteva sospettare ciò che gli avrebbe riservato la vita.

Nell’ultimo anno Robert ha più volte fatto riferimento a quaderni di appunti, e in un messaggio postato all’inizio di settembre suo cugino Wilson Groom ha raccontato di un pomeriggio trascorso insieme a lui e ad Harriet. In quell’occasione il Creatore ha parlato della sua opera, spiegando dettagliatamente cosa sarebbe avvenuto alla fine. Una conclusione che Wilson ha definito davvero straordinaria. Era il 9 settembre, e sembrava che le cose andassero abbastanza bene. Una settimana dopo, il 16 settembre, il cuore di James Rigney smetteva di battere. Un sognatore, un creatore di sogni, come lo ha definito Tom Doherty, ma il suo sogno continuerà a vivere nella mente e nel cuore di milioni di fan.

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5 risposte a Robert Jordan: la biografia

  1. Raffaello ha detto:

    SPOILER Le torri di mezzanotte…

    …proprio ieri ho letto i 2 capitoli del ritorno al Rhuidean di Avyendha….forse uno dei picchi narrativi più straordinari dell’intero ciclo…secondo a pochi altri, tra cui certamente il viaggio al Rhuidean di Rand, che è stata per me in assoluto la parte più fantastica di WOT.

    …e adesso mi avvio verso la conclusione del libro…chissà cosa mi attende!…i’m thrilled!!

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  2. Fenomenali quei capitoli. Ci stiamo avvicinando a Tarmon gai’don, si vede continuamente, e anche se i buoni dovessero vincere l’Ultima Battaglia, cosa tutt’altro che scontata, cosa potrebbe accadere dopo?
    E dai commenti che ho letto l’ultimo romanzo dev’essere qualcosa d’incredibile.

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  3. Drago Rinato ha detto:

    Grazie Kindra per l’ottimo articolo 🙂

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    • Prego. In realtà avevo scritto l’articolo anni fa per FantasyMagazine, ma come mi capita quando non ho tempo per altro l’ho riproposto qui. Ovviamente è una cosa che faccio solo con articoli che hanno senso anche a distanza di tempo dalla loro prima pubblicazione, anche se a riscriverlo ora metterei dentro molte più cose perché conosco meglio Robert Jordan. Però già così fra formattazione, correzione di un paio di frasi, inserimento delle opere pubblicate in questi cinque anni e ricerca delle foto ho impiegato più di mezz’ora, e per fortuna che ero a corto di tempo…

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