Incipit: Il paese delle due lune di Guy Gavriel Kay

Le due lune splendevano alte e il loro chiarore offuscava quello delle stelle. Su tutt’e due le rive del fiume ardevano i fuochi dei bivacchi, che si stendevano su un’area vastissima, fino a perdersi lontano nella notte. Tra l’uno e l’altro campo, la Deisa scorreva pigramente; l’argento della luce lunare e il rosso dei fuochi creavano sulla sua superficie lunghe strisce serpeggianti: E tutte quelle scie parevano convergere negli occhi di Saevar, che, seduto sulla riva, con le mani sulle ginocchia, pensava alla morte imminente e alla vita da lui vissuta.”

Saevar pensava alla morte imminente, e alla vita da lui vissuta. E anche se è un personaggio assolutamente marginale all’interno del romanzo, pensare a lui mi mette tristezza. Fa male – come può far male un romanzo – guardarlo, leggere i suoi pensieri, provare il dolore per la consapevolezza che non rivedrà più sua moglie e i suoi figli. E la consapevolezza, ancor più grande, di ciò che ne sarà della sua arte, che in teoria avrebbe dovuto essere immortale, e di ciò che faranno i suoi figli.

La scena è breve, solo cinque pagine, e costituisce il prologo di Il paese delle due lune del canadese Guy Gavrel Kay.

Non un prologo distante, affondato in episodi storici ormai quasi dimenticati o trasformati in leggenda, ma ambientato solo venti anni prima rispetto alle altre pagine del romanzo. Un prologo, e una storia, che nascono ammantate di bugie, e se la prima si rivelerà in fretta e sarà piacevole scoprire la verità, la seconda sarà determinante, e farà molto male. Come una spada nell’anima, direbbe Alessan.

Kay non è molto noto in Italia, di suo sono stati tradotti solo Tigana (che, per non far credere ai potenziali lettori di aver acquistato l’omonimo calciatore attivo in quegli anni invece di un libro, è stato intitolato Il paese delle due lune) e la Trilogia di Fionavar, composta da La strada dei re, La via del fuoco e Il sentiero della notte. I romanzi, tradotti fra il 1992 e il 1994, sono ormai fuori catalogo, ed è un peccato perché sono molto belli. Kay ha il dono di saper usare le parole, dono che riesco a percepire anche quando lo leggo in inglese, malgrado la fatica che faccio a leggere direttamente nella sua lingua. Ma ne vale la pena, i migliori libri che ho letto negli ultimi anni sono i suoi. Gli bastano poche parole per farmi scoppiare a ridere o per spingermi a piangere, anche in rilettura, quindi quando teoricamente non dovrei essere emotivamente coinvolta perché so già cosa avverrà. Eppure…

Eppure.

.

Il fatto che Kay sappia davvero usare le parole non è solo una mia impressione, oltre a undici romanzi ha scritto anche una raccolta di poesie molto apprezzate nel suo Paese. Quanto alla solidità nel costruire mondi, ha studiato alla scuola migliore che si potesse trovare, visto che ha aiutato Christopher Tolkien a risistemare e rendere pubblicabile Il Silmarillion.

.

«anche questa è una notte ben strana», rispose il principe.

«Davvero? può cambiare, la notte, a causa di quel che facciamo qui, noi folli mortali?»

«Cambia l’occhio con cui l’osserviamo», rispose Valentin a bassa voce. «Ciò che sentiamo in questo momento nasce, almeno in parte, da quello che ci porterà la luce del mattino».”

Oh, Saevar, con le tue domande su ciò che porterà il mattino, il tuo orgoglio e tutta la tua passione, tutto il tuo talento che ti fanno compagnia in una strana notte seduto lungo il corso della Deisa. Ho già usato questo libro per parlare del nostro mondo, e delle lotte risorgimentali che hanno portato all’unità d’Italia, e certo questa è una chiave di lettura. Ma non è questo il motivo per cui amo questo romanzo. Lo amo perché è scritto davvero bene, i suoi personaggi sono straordinari e perché ogni cosa, anche la vittoria, ha un prezzo, e storie come questa lasciano sempre il segno. George R.R. Martin è un grande, e con lui spesso si trema per l’incolumità dei personaggi di cui si sta leggendo. Ma Martin, pur con tutto quello che ha fatto, non mi ha mai ferita davvero. Ci aveva già pensato Kay a farmi capire che anche nella narrativa si può soffrire e si può morire davvero.

La maggior parte dei romanzi di Kay sono autoconclusivi. Queste sono le sue opere:

The Summer Tree, 1984, tradotto come La strada dei re, primo volume della Trilogia di Fionavar;

The Wandering Fire, 1986, tradotto come La via del fuoco, secondo volume della Trilogia di Fionavar;

The Darkest Road, 1986, tradotto come Il sentiero della notte, terzo volume della Trilogia di Fionavar;

Tigana, 1990, tradotto come Il paese delle due lune;

A Song for Arbonne, 1992;

The Lions of Al-Rassan, 1995;

Sailing to Sarantium, 1999, primo volume della duologia The Sarantine Mosaic;

Lord of Emperors, 2000, secondo volume della duologia The Sarantine Mosaic;

Beyond This Dark House, 2003, raccolta di poesie;

The Last Light of the Sun, 2004;

Ysabel, 2007;

Under Heaven, 2010.

Il nuovo incipit:

Era una bella mattina di fine novembre. Nella notte aveva nevicato un poco, ma il terreno era coperto di un velo fresco non più alto di tre dita. Al buio, subito dopo laudi, avevamo ascoltato la messa in un villaggio a valle. Poi ci eravamo messi in viaggio verso le montagne, allo spuntar del sole.

Come ci inerpicavamo per il sentiero scosceso che si snodava intorno al monte, vidi l’abbazia.”

Questa voce è stata pubblicata in citazioni, George R.R. Martin, Guy Gavriel Kay, incipit, saghe e contrassegnata con , . Contrassegna il permalink.

Una risposta a Incipit: Il paese delle due lune di Guy Gavriel Kay

  1. Pingback: La Realizzazione del Desiderio « Le Strade dei Mondi

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.