
Non superare le dosi consigliate di Costanza Rizzacasa d’Orsogna non è esattamente il tipico libro che leggo. Sì, avevo letto il suo Scorrettissimi qualche mese fa, e vi avevo trovato un bel po’ di spunti di riflessione interessanti, ma quello era un saggio fra l’attualità e la sociologia, un tipo di libri che sto leggendo da un po’. Questo è un romanzo su una persona normale, ambientato in un contesto normale. Non esattamente qualcosa che mi attira. Quando ho letto Stoner di John Williams, mi sono annoiata. La passività del personaggio che invece di vivere si lasciava vivere, mi aveva irritata. E Williams sapeva scrivere, il suo Augustus, letto un paio d’anni dopo Stoner, mi è piaciuto molto. E però…
Costanza è un’amica, ammesso che si possa definire amica una persona che vive in un’altra città, che ho incontrato di persona solo due volte, con cui ho fatto un paio di telefonate e con cui chiacchiero soprattutto tramite Twitter. Però, al di là del punto fermo in comune che ci ha fatte incontrare, importantissimo per entrambe, ci stiamo scoprendo diverse cose in comune, diverse consonanze di pensiero. Costanza è un’amica, e questo fa la sua parte. Costanza ha avuto problemi con il peso. Io no, anche se questo è il momento della mia vita in cui peso di più. Nell’ultimo paio d’anni credo di aver messo su 3-4 chili, ma visto che non mi peso da anni non posso dirlo con certezza. Basta lo specchio. Mi piacerebbe che quei chili andassero via, ma è un pensiero fuggevole, che non condiziona la mia vita. I chili non sono poi così tanti, anche perché ho imparato anni fa a far finta che i derivati del pane, focacce, grissini, schiacciate e affini, non esistono. E (quasi) neppure il Parmigiano Reggiano. Però a volte viene da pensare. Forse anche perché seguo il pattinaggio artistico, e la ginnastica artistica. Ho letto libri come Little Girls in Pretty Boxes di Joan Ryan o The End of the Perfect 10 di Dvora Meyers. Ho letto interviste, soprattutto a pattinatrici. E anche nell’autobiografia di Kiira Korpi, che ho finito di leggere non troppi giorni fa, ho trovato problemi alimentari. Nello sport si tratta di ragazze magrissime. Costanza ha il problema opposto, ma in entrambi i casi si tratta di problemi alimentari. Con in più, nel suo caso, lo stigma di esserselo cercato, che sia colpa sua. È facile giudicare, lo facciamo tutti. E certi problemi sono davvero difficili da vedere. Anni fa, leggendo La via dei re di Brandon Sanderson, mi sono stupita per una distinzione in caste legata al colore degli occhi. Gli occhichiari comandano, gli occhiscuri ubbidiscono. È un fantasy, ma la cosa mi era sembrata assurda. Come si può discriminare qualcuno per il colore degli occhi? Non ha senso, è come se discriminassimo qualcuno, che ne so, per il colore della pelle.
Già. Discriminiamo in base ad assurdità. Sanderson mi ha portata a riflettere di più sul razzismo. Non che non sapessi cos’era anche prima, ma a riflettere su quanto siano arbitrarie le linee di demarcazione che tracciamo. Di quanto facciano male le nostre linee di demarcazione.
C’era un muro. Non pareva importante. Era fatto di ciottoli uniti senza pretese, con un po’ di malta. Gli adulti potevano guardare senza sforzo al di là del muro, e anche i bambini non avevano difficoltà a scavalcarlo. Dove incontrava la strada, invece di aver un cancello degenerava in una pura geometria, una linea, un’idea di confine. Ma l’idea era reale. E importante.
Sono le prime dighe di I reietti dell’altro pianeta di Ursula K. Le Guin. Tracciamo righe e pensiamo di essere nel giusto, ma è davvero così? Io il problema di Costanza non l’ho vissuto, non lo vivrò mai. Il romanzo è in parte autobiografico. Alcune cose so che sono realmente la sua vita, altre potrebbero essere finzione narrativa, ma non ne ho la certezza. E però.
Entrare nella mente degli altri, nel cuore degli altri, è difficilissimo. Io ho avuto un collega sordo. Non è nato così, è una sordità legata a una malattia degenerativa. Un giorno mi ha detto qualcosa tipo “quando hai un handicap, lo hai sempre”. In ogni momento della sua giornata, della sua vita. Ci sono stati episodi, visti o raccontati, in cui so che il suo handicap gli ha creato difficoltà. La sordità è un handicap riconosciuto. I problemi alimentari lo sono fino a un certo punto. L’anoressia sì, è riconosciuta, una persona anoressica suscita compassione. L’obesità? Quante persone accomunano ancora la depressione alla tristezza, non riconoscono la malattia e danno la colpa a chi soffre per la malattia, perché non è capace di venirne fuori? Perché è tanto difficile riconoscere che anche la depressione è una malattia^ Che anche l’obesità è una malattia? Perché è difficile parlarne?
Non superare le dosi consigliate è questo, un modo di parlare della malattia. La scrittura di Costanza è efficace, da giornalista sa usare le parole. La storia viene fuori come un flusso di coscienza, andando avanti e indietro nel tempo. Il peso, una famiglia disfunzionale, lo studio, la dipendenza da farmaci, i problemi sentimentali, la scarsa autostima, la salute, l’indipendenza economica, le molestie sessuali. Il peso. Nella vita vera, è difficile distinguere tutto. fare compartimenti stagni, dire “questo problema lo gestisco in questo modo, questo lo gestisco in quest’altro, e ne vengo fuori”. No, è tutto aggrovigliato. Tocchi una cosa e ne muovi un’altra. Vorresti dare una svolta, e poi ti accorgi di esserti mosso in un’altra direzione. Ti aggrappi a qualcosa, le cose più belle come a quelle più brutte, e le tieni, perché sono tue, anche quando vorresti lasciarle andare, vorresti che loro lasciassero andare te.
Si tratta di un libro viscerale. Bello? Brutto? Non lo so. La soluzione semplice è elencare i fatti, dire che ha fatto scalpore perché di obesità si parla poco, anche se con una pubblicazione nel gennaio del 2020 il problema di Costanza è stato reso piccolo da un problema più grande, che ha coinvolto tutto il mondo e nascosto il resto. Probabilmente Costanza avrebbe preferito che a essere reso più piccolo fosse stato il suo corpo, non il suo problema, perché anche se lei ha trovato la sua strada – come dice lei, I’m a ballerina. Yo soy bailarina de ballet. Watashi wa barerīna desu – questo non è vero per tutti. È semplice ricordare che c’è una pièce teatrale basata su questo romanzo che sta girando l’Italia. Che Costanza tiene una rubrica settimanale in cui parla anche di problemi alimentari. Fatti. Che non colgono il cuore del problema. Che non colgono il dolore provato dalle persone quando sentono che qualcuno decide di parlare di “grassi” perché è di moda. Senza cogliere il nucleo, perché quando Costanza parla di obesità, parla di come ci facciamo del male da soli, e di come altri usino quel male per farci male a loro volta, a volte con cattiveria, a volte senza neppure rendersene conto.
Io non riesco a districarmi nelle parole di Costanza, e non per i continui salti avanti e indietro nel tempo. Ho letto qualche commento di lettori che se ne lamentavano, che faticavano a seguire la storia. Ma questa non è una storia con una trama, che parte da un punto, segue una precisa direzione, e finisce in un altro. È un romanzo, perché per quanto la parte autobiografica sia presente, c’è anche una certa dose d’invenzione. Ma nella vita è così, è tutto un amalgama, ed è faticose percorrere le vicende delle nostre vite. I giorni si susseguono, i fatti si susseguono, ma le emozioni si mescolano. I ricordi si mescolano. Andiamo avanti contemporaneamente in due modi diversi, e questo può essere sconcertante, spesso lo è. Non so giudicare il libro. Non è ciò che leggo abitualmente e non è ciò che di solito cerco in un libro. Leggo libri diversi, cerco cose diverse nei libri. Stavolta so di essere entrata in un modo che mi è estraneo, e di essermi interrogata sulla nostra capacità di provare compassione nei confronti degli altri. Sui limiti che tracciamo, sul perché alcune cose riusciamo a non vederle, a meno che non capiti qualcosa che ce le sbatte in faccia. Su quanto sia facile giudicare, e ferire con un giudizio che abbiamo assegnato con leggerezza, senza neppure rendercene conto. Forse qualcosa di questo libro lo porterò con me, qualcosa che non tocca solo qualcuno distante, di cui leggo sui giornali, ma persone in carne e ossa, quelle che incrocio per caso così come quelle che mi sono più vicine. Questo libro è un grido di dolore, e per me anche un grande punto interrogativo. Un primo passo, ma forse per ora anche solo questo è abbastanza.
Di Williams è stato appena pubblicato butcher’s crossing e devo dire che mi attira parecchio.
È un po’ che non leggo western, devo decisamente recuperare
Mi incuriosisce anche il romanzo di cui hai parlato, diciamo che ultimamente anche io leggo parecchie cose ben al di fuori dal mio genere.
Segnalo “… E ora parliamo di kevin” ronanzo che parla di maternità in modo coraggioso.
Stupendo.
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