L’Occhio del Mondo di Robert Jordan. Dal capitolo 28 al capitolo 30

Rilettura di La Ruota del Tempo di Robert Jordan.

28: Orme nell’aria

Capitolo di transizione con Moiraine, Lan e Nynaeve che arrivano a Whitebridge, vedono le tracce dei disordini che ci sono stati, vengono a sapere che Domon è ripartito verso sud, non sanno se con Rand e Mat oppure no, e decidono di andare a cercare Perrin. Ci sono accenni al fatto che Nynaeve preferisca la compagnia di Lan – solo perché sa cavarsela, si dice lei che ancora non vuole ammettere la verità neppure a sé stessa – e che inizi a percepire consapevolmente l’Unico Potere. Comunque Jordan si diverte a far dire a Moiraine:

Non puoi usare l’Unico Potere, se l’emozione ti domina la mente

che è esattamente il contrario di quanto potrà fare Nynaeve per molto tempo. Fino a quando non supererà il suo blocco lei potrà usare l’Unico Potere solo quando sarà furibonda. Fra anticipazioni mascherate da eventi casuali e ironia Jordan si dev’essere divertito tantissimo.

29: Occhi spietati

Capitolo decisamente angosciante, al punto che mi domando come mai Jordan non abbia più utilizzato i corvi a questo modo. Magari le ragazze (e Rand) una volta imparato a usare l’Unico Potere se ne sarebbero liberate senza problemi, ma Mat e Perrin? Suppongo sia perché una scena come questa non poteva più rientrare nella storia vista la crescita dei protagonisti. Qui i cinque di Emond’s Field sono ingenui, non conoscono il mondo e non sono autosufficienti, man mano che crescono – non tanto di età, credo che tutta la storia si snodi in un paio di anni, quanto di capacità e conoscenze – i problemi che si trovano ad affrontare sono molto diversi. Credo sia questa una delle principali differenze fra Robert Jordan e Terry Goodkind, al di là del fatto che Goodkind riprende Jordan ancora più strettamente di quanto Jordan riprenda J.R.R. Tolkien, e facendo comunque un lavoro molto più scadente. Non riesco a essere precisa nei raffronti, mi baso sulle mie impressioni di tanti anni fa e di quell’unica volta che ho letto La spada della verità fino al settimo libro. Primi due romanzi belli, anche se non particolarmente originali, e poi il crollo nell’abisso della ripetizione e nell’incapacità di far evolvere i personaggi e di donare alla storia una direzione convincente. Nel quinto, L’anima del fuoco, Richard si trova pure ad avere a che fare con delle galline assassine. C’è bisogno di dire che quella scena non ha un briciolo della tensione di questo capitolo?

I corvi improvvisamente si dirigono a sud. Al di là del notare che il loro movimento all’unisono non sia naturale mi viene da chiedermi in quale punto si trovino esattamente Rand e Mat. Quel che è certo è che sono a sud. Come mai i corvi deviano all’improvviso verso di loro? Bisognerebbe calcolare i giorni, vedere se hanno appena avuto un contatto ravvicinato con qualche Fade o con qualche Amico delle Tenebre, ma in questo momento non ho voglia di giocare con il calendario e non sono neanche sicura che sia possibile stabilire esattamente che giorno è nelle diverse trame.

Qualche corvo isolato rischia di scoprirli, mi fa piacere notare che il primo sia abbattuto da Egwene. Evidentemente quando c’era da imparare a usare la fionda, da bambini, lei era in prima fila che si agitava con la mano alzata dicendo “Io! Io!” Hermione Granger al confronto è una dilettante, Egwene non avrebbe avuto alcun problema a guidare una scopa. Poco più sotto Elyas ammonisce:

Fate funzionare il cervello, se volete restare vivi. La paura vi ucciderà, se non la dominate

che è esattamente quello che Syrio Forel ha insegnato ad Arya Stark ne Le cronache del ghiaccio e del fuoco di George R.R. Martin:

La paura uccide più della spada.

Se per caso ve lo state chiedendo no, non riesco a rimanere concentrata su un solo libro.

Tornando ai nostri eroi, Egwene si rende conto che Perrin può davvero parlare con i lupi, ma mentre lei lo accetta lui continua a chiedersi chi sia realmente e se è in qualche modo Contaminato. Jordan, in Vietnam, deve essersi posto un bel po’ di domande su sé stesso, e le ritroviamo tutte nei suoi personaggi. Prima di scrivere La Ruota del Tempo ha pubblicato diversi romanzi, che forse prima o poi acquisterò in inglese. Sono romanzi storici – temo polpettoni romantici con una semplice infarinatura storica, per questo non li ho ancora presi – con la sola eccezione di sei libri incentrati su Conan, il personaggio creato da Robert E.Howard. I critici che non li hanno ignorati li hanno stroncati, io ho letto l’unico che, quasi vent’anni fa, è stato tradotto in italiano: Conan l’invincibile. Libro assolutamente dimenticabile, se non fosse per un dettaglio: lì il Vietnam si vede tutto. So che in un’occasione, quando hanno chiesto a Robert se i suoi libri fossero stati influenzati dai periodi trascorsi in Vietnam, la moglie Harriet McDougal è intervenuta e ha risposto che lui scriveva perché era stato in Vietnam. In certi punti si sente tantissimo, i dubbi dei personaggi, la loro evoluzione… Quando ormai sono in salvo Perrin si chiede

L’avrei risparmiata? L’avrei abbattuta come un cespuglio? I cespugli non sanguinano, no? E non gridano, e non ti guardano negli occhi e non ti chiedono perché.

Domande come queste sono al cuore della saga. Per fortuna l’arrivo in uno stedding gli permette di non dover cercare le risposte. Stedding. Wow! Avete presente come viene usato uno stedding in Tarmon gai’don? Non appena Jordan ha codificato un po’ il suo sistema magico si è creato delle opportunità grandiose, e le ha sfruttate in modi imprevedibili e notevolmente efficaci. Perrin sente un brivido, Egwene percepisce di aver perso qualcosa, e i Corvi non entrano perché se entrassero il Tenebroso perderebbe la presa su di loro. In effetti lì ci sono dei germogli: l’inverno innaturale che affligge Randland negli stedding non arriva. E poi ci imbattiamo in un occhio.

Lo spuntone era arrotondato, ma presentava lateralmente una frattura netta, dove del muschio vecchio e secco copriva la superficie scabra e irregolare. Le scanalature e le cavità erose nella parte arrotondata parevano insolite, ma Perrin era troppo preso dall’umore cupo per sorprendersi. Egwene, però, le studiò mentre mangiava.

«Sembra un occhio» disse infine. Perrin batté le palpebre: sembrava davvero un occhio, sotto la fuliggine.

«Lo è» confermò Elyas. Seduto con la schiena al fuoco e alla roccia, scrutava la zona e masticava un pezzo di carne secca, dura come cuoio. «L’occhio di Artur Hawkwing. L’occhio del Gran Mo­narca in persona. Ecco come si sono ridotti il suo potere e la sua gloria.»

Perrin è chiuso in sé stesso mentre la prima della classe, quella che vuole imparare tutto (e lo dico con tutto l’affetto che ho per Egwene, senza dubbio uno dei miei personaggi preferiti) si guarda intorno e capisce cos’è quella pietra che le sta al fianco.

Questo capitolo si intitola Occhi spietati, e naturalmente il primo pensiero è che si tratti degli occhi dei corvi. Però anche Hawkwing sapeva essere spietato, e guarda caso la prima cosa che vediamo di lui è un occhio. Non il naso, o la bocca, o un orecchio. Un occhio. Una coincidenza? Non credo, anche se più che un dettaglio fondamentale per la storia questo è un tocco di colore per catturare il lettore.

Elyas ci racconta la sua storia, anche se ovviamente non ci può dire tutto. Per esempio non sa che la diffidenza di re Artù (no, non ho sbagliato a scrivere il nome, l’ho fatto apposta) nei confronti delle Aes Sedai è dovuta all’influenza di Ishy, così come il mandare Cristoforo Colombo (ehm…) a stabilirsi al di là dell’Oceano Aryth in modo da poter avere, a tempo debito, i Seanchan. Le manie di grandezza comunque possono essere la rovina delle persone

Artur Hawkwing era uno sciocco pieno d’orgoglio. Una Aes Sedai guaritrice l’avrebbe salvato quando si ammalò, o fu avvelenato, come sostengono alcuni; ma quelle ancora in vita erano tutte dietro la Muraglia Lucente, impegnate a usare il Potere per tenere a bada un esercito che con i suoi fuochi da campo illuminava la notte.

Forse avvelenato, eh? E quanto al suo regno, lo ha costruito regnando con giustizia tranne nei confronti dei suoi oppositori, su cui passava stile rullo compressore. Alla sua morte

i suoi figli e i suoi parenti lottarono per stabilire chi dovesse sedere sul trono.

Più che Artù, che certo non è stato avvelenato, anche se con la sua morte l’era di Camelot è finita, qui sembra Alessandro Magno.

Alla fine di lui restarono solo le storie, per la maggior parte piene d’errori. A questo si ridusse la sua gloria

perché

Artur Hawkwing morí il giorno stesso in cui la statua fu terminata.

A me fa venire in mente Harren il Nero che, molti anni più tardi, termina di costruire Harrenhal lo stesso giorno in cui Aegon il Conquistatore giunge ad Approdo del Re. The Eye of the World è del 1990, A Game of Thrones è del 1996, anche se mi sa che Martin ha narrato la storia di Harren il Nero in A Clash of Kings (1999). Con questo non sto dicendo che Martin, che conosceva la saga di Jordan, lo abbia copiato, ma solo che ci sono cose che risuonano allo stesso modo.

Nel momento di (supposta) massima gloria inizia la caduta. E di caduta dalla gloria ha parlato Percy Bhysse Shelley in uno dei suoi più famosi poemetti, Ozymandias, probabilmente ispiratogli da una statua di Ramesse II appena portata al British Museum di Londra:

I met a traveller from an antique land,

Who said: -Two vast and trunkless legs of stone

Stand in the desert… Near them, on the sand,

Half sunk, a shattered visage lies, whose frown,

And wrinkled lip, and sneer of cold command,

Tell that its sculptor well those passions read

Which yet survive, stamped on these lifeless things,

The hand that mocked them, and the heart that fed:

And on the pedestal these words appear:

“My name is Ozymandias, king of kings:

Look on my Works, ye Mighty, and despair!”

Nothing beside remains. Round the decay

Of that colossal wreck, boundless and bare

The lone and level sands stretch far away.

Quella che segue è la traduzione visibile sul sito della Keats-Shelley-House di Roma: http://www.keats-shelley-house.org/it/works/works-p-b-shelley/p-b-shelley-ozymandias

Ozymandias

Incontrai un viaggiatore, veniva da un’antica
terra e mi disse: Due immense gambe di pietra
s’ergono nel deserto, senza tronco…Vicino, sulla sabbia,
giace a metà sepolto un viso smozzicato, e il cipiglio,
le labbra corrugate e il suo ghigno di freddo comando
dicono come esattamente lo scultore
abbia letto passioni che ancora sopravvivono, impresse
in quelle cose morte, alla mano che un tempo
le interpretò, e al cuore
che le nutrì: sul piedestallo appaiono
queste parole: “Il mio nome è Ozymandias, re dei re:
guardate alle mie opere, o Potenti, e disperate!”
Nient’altro resta. Attorno alle rovine
di quell’enorme relitto, le nude e sconfinate
sabbie deserte e piatte si stendono lontano.

Alla morte del Gran Monarca segue la Guerra dei Cento Anni che, a differenza di quella fra Regno d’Inghilterra e regno di Francia nell’XI-XII secolo durata 116 anni, si protrae per ben 123 anni.

30: Figli dell’ombra

Figli dell’ombra. Mi piace il titolo, visto che loro si autodefiniscono Figli della luce. Nel fantasy il conflitto fra luce o ombra è frequentissimo, qui prende la forma dell’ipocrisia perché loro si dichiarano figli della luce ma è una luce che vedono solo loro e solo dove vogliono loro. Ho già detto che odio i fanatici di questo tipo? Hanno ragione i lupi, questi tizzi puzzano, e non perché è da un bel po’ di tempo che non fanno il bagno. Per la verità puzzano anche per quello: dubito, essendo quella una zona deserta, che qualcuno dei protagonisti in questo momento possa avere un buon odore, ma la puzza che sentono i lupi è ben peggiore.

Il capitolo inizia con il rapporto conflittuale fra Perrin e la sua ascia:

Perrin si staccò dalla cintura l’a­scia e se la rigirò fra le mani: il manico di frassino era lungo quanto il suo braccio, liscio e freddo al tocco. Sentí di odiarla. Si vergognò d’esserne stato orgoglioso, a Emond’s Field. Ma all’epoca non sapeva che cosa sarebbe stato disposto a fare, con essa.

La copertina dell'ebook di Crocevia del crepuscolo

Andrà avanti per un bel po’ questo dubbio, ed è una delle cose che caratterizza maggiormente il nostro amico fabbro. Non che abbia torto.

«La userai, ragazzo; e finché la odierai, la userai piú saggiamente di molti uomini adulti. Aspetta. Quando non la odierai piú, allora sarà il momento di gettarla il piú lontano possibile e correre via dalla parte opposta.»

Elyas ha ragione. Chi è diffidente verso il potere, chi lo usa con cautela, lo usa meglio. Comunque tutta questa diffidenza nei confronti di un’ascia l’avrà anche Druss in La leggenda di Druss di David Gemmell. Dovrei proprio rileggere pure Gemmell. Mmm…

Perrin inizia a vedere benissimo al buio, e pure a ringhiare come un lupo, anche se in quest’occasione avrebbe fatto meglio a starsene più tranquillo. Però… Hopper! Spoiler da Le torri di mezzanotte. Posso contare Hopper come primo morto di La Ruota del Tempo anche se è un animale? Però per ora è vivo nel mondo dei sogni, facciamo che lo conto dopo. Perrin viene stordito e sogna di

…Volare in alto come le aquile…

No, questo è Bilbo. Pure Pipino se ne rende conto:

«Arrivano le Aquile! Arrivano le Aquile!».

Per un attimo il pensiero di Pipino esitò. «Bilbo!», disse. «Ma no! Accadeva nella sua storia, tanto tanto tempo addietro. Questa è la mia storia, e adesso è finita. Addio!». E la sua mente volò via ed i suoi occhi più non videro.

Solo un altro paio di appunti: Bornhald è più preoccupato che Perrin non turbi Byar di quanto sia preoccupato che Byar non massacri Perrin, alla faccia del camminare nella luce, e la loro destinazione è Caemlyn, dove stanno andando anche le Rosse con Logain.

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